L’altra mattina in un negozio, vicino al banco del cassiere, vedo una carrozzina con dentro una dolce bimba di circa un anno e mezzo con in mano un telefonino su cui segue – con occhi incatenati allo schermo – un cartone animato. Due commesse solerti e sorridenti tentano disperatamente di attirarne l’attenzione mandandole bacetti, salutandola e chiamandola, ma lei è assorbita dal video.

 

Il genitore (che fosse uomo o donna, o genitore 1 o 2 non fa differenza), incapace, incompetente e insufficiente, rideva del fatto che la bimba fosse irremovibile quando guardava quel programma e non ha lontanamente pensato di toglierle il cellulare per farle incontrare l’Altro. Genitori che non vogliono grane. Ignorano il danno neurologico a cui sottopongono i figli lasciandoli in bàlia di uno schermo a subire delle immagini in rapida successione e deprivandoli di esperienze di base quali interagire con i negozianti, guardarsi intorno, relazionarsi.

Torno a casa amareggiata, consapevole di una società moderna con bimbi e adolescenti sempre più allevati da video e telefonini, ma trovo nella posta il libro che avevo ordinato il giorno prima su Amazon (il virtuale diventato reale): Neurobiscotti – Pandemia e Pubblicità, in cui Bruno Ballardini nella prefazione ci ricorda che stiamo andando verso una quotidianità dell’immateriale e dell’assenza, tutta in funzione del virtuale.
“L’assenza dell’oggetto, dell’altro, ci abitua ad una continua crisi della presenza, a molte centinaia di lutti al giorno che tentiamo di elaborare materializzando ciò che è virtuale. In fondo, la pubblicità si è sempre basata su questo meccanismo e ha contribuito a riprodurlo. Ma ci sono state conseguenze anche per questo bombardamento costante, con ordigni a frammentazione, che abbiamo subìto ventiquattro ore su ventiquattro da tutto il dopoguerra a oggi. Walter Benjamin, che non fece in tempo a conoscere la televisione, applicò le sue osservazioni alla frammentarietà del medium cinematografico, osservazioni che possono essere ancora utilizzate oggi con i nuovi media… Benjamin arrivò a concludere che l’interruzione comporta un continuo “effetto shock” sul nostro flusso associativo: “Non sono in grado di pensare quello che voglio pensare. Le immagini mobili si sono sistemate al posto del mio pensiero.” Ciò produce appunto la “percezione distratta” ma tuttavia non ci impedisce di assolvere certi compiti attraverso l’abitudine. Queste intuizioni furono confermate fin dal 1970 da una sorprendente ricerca di psicologia sperimentale di Osterhouse e Brock che dimostrò come la distrazione aumenti enormemente il potere persuasorio del messaggio perché impedisce allo spettatore di produrre contro argomentazioni, rendendolo estremamente vulnerabile.”

E l’autrice, Francesca “dada” Knorr, come in un estratto concentrato di performance dadaista, destruttura l’estetica dei social, dello spot all’ultimo grido e dell’essere smart, in favore di una visione più lucida e sicuramente rivoluzionaria, della vita.
“Nella “società liquida” e digitale ogni tipo di comunicazione consiste di ‘spot’, uno spot pubblicitario, proprio di recente ci ricorda che l’attenzione è fatta di brevi attimi, con un obiettivo basato sulla “prima impressione” definita nei primi sette secondi.”

La presenza non conta più, solo il risultato commerciale veicolato attraverso il mentale, con buona pace dello Zen che, attraverso una pratica autentica di unione mente-corpo, risveglia alla presenza totale, mentre attraverso un marketing maldestro viene usato per vendere divani, azioni bancarie o saponi, con la promessa di ritrovare la pace.

Chi si lascia catturare dalla rete rimarrà impigliato.

Sapremo rinunciare ai biscotti che ci offre lo splendido mondo della pubblicità e di internet?

Una lettura rapida ma intensa: Neurobiscotti – Pandemia e Pubblicità, 82 pagine, edizioni Novalogos.

Buona lettura!

 

 

Foto bambina con biscotti per gentile concessione di Ksenia Chernaya su pexel
Foto bimba che legge per gentile concessione di Kampus Production su pexel
Foto biscotti a cuore per gentile concessione di Jill Wellington su pexel